A partire dalla relazione impostata, nella prima infanzia, con il proprio caregiver di riferimento (quasi sempre la madre), ognuno di noi interiorizza degli specifici MOI (Modelli Operativi Interni), ovvero rappresentazioni, pensieri ed aspettative con riferimento alle figure emotivamente rilevanti con cui instaura un legame. I MOI contengono informazioni, nello specifico, su cosa possiamo aspettarci dalle relazioni, dunque dagli altri significativi, in merito a sensibilità, responsività, stabilità ed attenzione nelle risposte date alle richieste di conforto e protezione. Queste informazioni sono state acquisite da noi bambini in base a quanto sollecitamente e quanto adeguatamente nostra madre ha risposto alle nostre richieste di accudimento/protezione. Bolwby (1969) parla, a tal proposito, di stile di attaccamento ed ognuno di noi ne ha strutturato uno.
Sistemi motivazionali nella coppia
Nel rapporto paritario tra adulti, in questo articolo parliamo di relazione di coppia, si osserva l’intreccio tra due stili di attaccamento, associati principalmente ad un altro sistema motivazionale, quello di accudimento, che ha lo scopo di offrire protezione mediante comportamenti che incentivano la vicinanza ed il benessere.
In una coppia vanno a coordinarsi, in vari modi, comportamenti di accudimento e richieste di cura (attaccamento) nelle situazioni in cui la situazione ne richiede l’attivazione.
Cosa accade?
Nel momento in cui un partner si trova in uno stato di bisogno, si attiva in lui il sistema di attaccamento che lo porta alla ricerca del sostegno dell’altro, ed a tal fine invierà segnali mirati (più o meno espliciti). L’altro dovrebbe riuscire ad interpretare correttamente tali segnali ed attivare il sistema di accudimento, rispondendo con sensibilità e costituendo, dunque, un “porto sicuro”.
Stili di attaccamento nella coppia
Il modo in cui il bisogno viene segnalato ed il modo in cui viene interpretato variano molto a seconda dello stile di attaccamento che ciascun partner ha, molti anni prima, interiorizzato. In linea generale potremmo dire che oggi ci aspettiamo dal partner un comportamento sovrapponibile a quello assunto da nostra madre (o comunque il caregiver che si è preso cura di noi) durante la nostra infanzia. Vediamo ora come si comporta chi ha un:
Attaccamento sicuro: si aspetta che il partner risponderà alla richiesta di aiuto, è in grado di regolare le emozioni, ha una buona empatia, invia segnali chiari e coerenti nei momenti di difficoltà e sa accudire in modo sensibile e pertinente.
Attaccamento preoccupato: non è certo della responsività del partner, teme di non essere amato ed il suo benessere dipende molto dall’altro. Tende ad essere molto richiedente, quindi a lanciare richieste di aiuto o sostegno o rassicurazione molto frequentemente. Nell’accudimento è molto bravo, ma facilmente diventa intrusivo, controllante e può essere maggiormente focalizzato sui propri bisogni rispetto che su quelli dell’altro.
Attaccamento evitante: poco incline allo stato di vicinanza emotiva, tende a dichiararsi molto indipendente, difficilmente chiederà aiuto e conforto nei momenti difficili ed allo stesso modo, difficilmente lo darà, se non per fini secondari.
Attaccamento irrisolto: sia il proprio bisogno di attaccamento che il bisogno del partner provoca nel soggetto uno stato di allarme dal quale egli viene soverchiato. Non riesce a regolare/gestire le proprie emozioni, né a contenere quelle altrui. Maggiore è l’allarme percepito, più difficile troverà riuscire a gestire il tutto (Verardo e Lauretti, 2020).
Va sottolineato come i tipi di attaccamento dei partner, presi singolarmente, anche se sicuri, non sono di per loro predittivi del buon esito della relazione. È la combinazione dei due, l’unione tra i due “passati” che crea l’incastro – felice o infelice – di coppia (Grossman, 1999; Crowell ed al,2002).
Conclusione
Una coppia in cui almeno uno dei membri abbia un attaccamento non sicuro, tuttavia, è probabile che viva frequentemente condizioni di malessere e tensione. Un percorso terapeutico, individuale o di coppia (secondo valutazione del professionista) rappresenta, in questo caso, l’unico modo per poter lavorare sui traumi di attaccamento passati e beneficiare di un miglior benessere sia a livello individuale che di coppia.
Bibliografia
Bowlby J (1969) Attachment and Loss: Attachment vol.1, Basic Books, NY;
Crowell J.A, ed al (2002) Stability of attachment representations: the transition to marriage. Developmental Psychology 38, 4, 467;
Grossman K.E. (1999) Old and the new internal working models of
attachment: the organization of feelings and language. Attachment and Human development 1, 3, 253-269;
Verardo A.R e Lauretti G. (2020) Riparare il trauma infantile, Giovanni Fioriti Ed.