Il segreto più importante per crescere un figlio sereno

La frase d’amore più vera, l’unica è: “Hai mangiato?”

Questa citazione è della famosissima scrittrice, saggista, poetessa italiana del secondo dopoguerra, Elsa Morante. In questo articolo andremo a mettere in discussione proprio questa tanto diffusa ed acclamata affermazione, chiaramente figlia dell’epoca in cui è stata prodotta.

Il legame di attaccamento

Ognuno di noi, quando era molto piccolo, ha identificato una figura speciale alla quale far riferimento per assicurarsi la sopravvivenza.  Per la maggior parte di noi si è trattato della mamma, per altri del papà, per altri ancora della nonna.

Bowlby, già molti decenni fa, parlò di attaccamento per descrivere il peculiare ed unico legame che unisce un cucciolo al proprio caregiver principale (colui che si occupa del bambino per la maggior parte del tempo, ogni giorno), che va ben oltre il bisogno di essere nutrito. H.Harlow, uno psicologo statunitense, nel 1958 verificò empiricamente la teoria di Bowlby realizzando un esperimento -indiscutibilmente crudele- con delle scimmie Rhesus (*).

L’esperimento di Harlow

Lo studioso separò i cuccioli dalle madri ed introdusse nella gabbia due oggetti: una scimmia in metallo con al centro un biberon pieno di latte ed una scimmia in legno ricoperta di peluche. Quest’ultima non offriva alcun nutrimento. I cuccioli si alimentavano al biberon ma dimostrarono di preferire il peluche.

Harlow spinse l’esperimento, già chiaro nei suoi primi risultati, ancora oltre: rinchiuse le piccole scimmie in spazi sempre più piccoli dando loro solo cibo ed acqua. Dopo mesi, privati di ogni stimolo sociale e sensoriale, i cuccioli mostrarono alterazioni del comportamento fino ad arrivare a stati catatonici: passivi ed indifferenti a tutto. Alcuni rifiutarono di alimentarsi e morirono, altri si isolarono, non sentirono la necessità di trovare un partner e riprodursi.

Harlow giunse persino ad obbligare alcune femmine a riprodursi ed ottenne come effetto cuccioli abbandonati a se stessi: le madri li ignoravano, non li alimentavano ed alcune si mostrarono molto aggressive nei loro confronti. Le scimmie cuccioli che sopravvivevano, da adulte, si mostrarono disinteressate alle relazioni.

Questo famoso esperimento, benchè obiettivamente crudele, ha dimostrato l’importanza del “calore” affettivo, della connessione e del contatto nel rapporto genitore-cucciolo. Ha rilevato, inoltre, le nefaste conseguenze a lungo termine della privazione affettiva relazionale nel rapporto figura di attaccamento-cucciolo.

Nel mondo umano…la madre sufficientemente buona

Nel mondo umano, coerentemente con tali evidenze, i bambini che non ricevono l’affetto necessario da piccoli soprattutto in termini di ascolto empatico, contatto fisico, sicurezza, e/o vengono isolati, maltrattati o rifiutati, avranno importanti difficoltà sia personali che relazionali.

Non è sufficiente ricevere cibo da nostra madre, non è sufficiente che ci prepari la merenda o ci lavi il vestiario, che ci accompagni all’asilo e ci rifaccia il lettino.

Quello che ci nutre davvero, ciò di cui abbiamo bisogno per crescere equilibrati e sereni, è trovare in lei uno specchio che dia voce e senso alle nostre emozioni ed un porto sicuro nei momenti di difficoltà, quando abbiamo paura o siamo tristi o arrabbiati. Abbiamo bisogno di una mamma che funga da termostato regolatore di “temperatura”, che si sintonizzi con il nostro stato d’animo e lo regoli dall’esterno, insegnandoci così a a farlo da soli quando cresceremo.

Non vogliamo una mamma perfetta, che non sbagli mai, ma una mamma che sia sufficientemente buona (Bowlby, 1969) e che sia in grado di riparare agli errori che riflettono il suo essere umana, che abbracci e recuperi il sorriso confermandoci che siamo degni di essere amati al di là del nostro comportamento, che ci accetti nella nostra unicità anche se non soddisfa le sue aspettative.

Quanti di noi possono dire di avere percepito una mamma così?

La madre “insufficientemente” buona

 

E’ meglio essere un bambino cattivo con un genitore buono che essere un bambino buono con un genitore cattivo.” Cit.

Un bambino che cresce con una mamma responsiva, sensibile, empatica ed accogliente, svilupperà un’idea di sé come essere degno di essere amato, si relazionerà agli altri in modo empatico e sereno, sarà sicuro nell’esplorazione dell’ambiente e – qualora non intervengano durante gli anni variabili disturbanti o traumi importanti a minare la sicurezza dell’attaccamento – diventerà un adulto in grado di vivere relazioni sane ed equilibrate.

Cosa accade, però, se il bambino ha un caregiver che lo ignora emotivamente, lo rifiuta o peggio lo maltratta? Un genitore potrebbe essere molto nervoso perché depresso o infelice, oppure anaffettivo per impostazione della propria famiglia d’origine.

Un bambino non potrebbe mai tollerare di aver un genitore che non lo ami, quindi percepisce se stesso come “inadeguato” ed inizia a prendersi cura del genitore, in modo tale da far sì che stia meglio e che finalmente gli faccia sentire di essere amato ed amabile. Come si intuisce, in questo caso i ruoli si invertono, non senza conseguenze.

Il bambino che si percepisce non amato (ndr. per un bambino ciò che conta è ciò che lui percepisce) potrebbe tendere ad adeguarsi alle aspettative genitoriali, facendo ciò per cui il genitore lo premia, per renderlo felice e sentirsi “visto”, dunque amato. Contestualmente, tuttavia, sottosoglia di consapevolezza serpeggeranno rabbia, solitudine, dolore ed una miriade di bisogni infantili inespressi e mai soddisfatti; rinuncerà alla propria infanzia, a se stesso, perché in quel momento esiste un’emergenza: rendere il proprio caregiver (ovvero colui che gli assicura la sopravvivenza) in grado di amarlo.

Il bambino diventa adulto: cosa accade

Lo stesso bambino, da adulto, potrebbe avere un’autostima molto bassa, essere molto attento ai bisogni altrui, specie del partner, ma non ascoltare mai i propri, tenderà a trascurarsi ed a porsi sempre in secondo piano rispetto alle persone che ama. Un’altra delle possibili evoluzioni vedrebbe l’instaurarsi di un disturbo narcisistico di personalità: una corazza splendente ma fredda, incapace di entrare in contatto emotivo profondo con gli altri, che custodisce un cuore estremamente fragile e dolorante.

Quelle appena descritte sono, naturalmente, solo alcune delle evoluzioni possibili, nell’estrema e complessa variabilità dell’essere umano e delle combinazioni relazionali in cui può coinvolgersi.

Ciò che preme sottolineare è come tali dinamiche siano quasi sempre transgenerazionali per apprendimento implicito: un bambino emotivamente trascurato ha avuto quasi sempre un genitore che è stato a sua volta un bambino emotivamente trascurato da una madre a sua volta portatrice di un’infanzia di solitudine.

La buona notizia è che, qualsiasi sia stato il legame caregiver-bambino, c’è sempre possibilità di cambiamento: successive esperienze relazionali positive emotivamente rilevanti e continuative possono gradualmente modificare gli schemi mentali d’attaccamento formatisi nell’infanzia. Se quest’ultima non rientra tra le fortune della vostra vita, la psicoterapia può certamente aiutarvi: la scelta allora è solo vostra.

Dott.ssa Giannalisa Colasuonno

* Nota di redazione: oggi, differentemente dai tempi di Harlow, condurre un esperimento in psicologia richiede rigidi requisiti etici, sia che si tratti di animali che di esseri umani.

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