Coppia: Perchè una vittima di violenza non lascia il partner?

Ascoltando le storie di violenza psicologica e/o fisica subìte dalle donne all’interno di una relazione di coppia, la domanda che sorge spontanea, direi quasi automatica, è:

“Se le fa del male, perché non lo lascia?”.

Molti studi accreditati hanno sviluppato sull’argomento, in modo concorde, un’interessante prospettiva interpretativa, paragonando la dipendenza psicologica dall’aggressore alla dipendenza da sostanze stupefacenti.

Ma andiamo per gradi: cosa accade?

La vittima, una volta raggiunta la consapevolezza di esserlo, desidera prima di ogni altra cosa essere riconosciuta vittima innocente di un uomo colpevole di usarle violenza, dunque desidera liberarsi dal senso di colpa per aver “fatto qualcosa di sbagliato”. Per raggiungere questo scopo, obiettivamente l’allontanamento fisico dal partner è inutile, mentre ciò che occorrerebbe sarebbe un ribaltamento della dinamica relazionale: il partner aggressivo diventa subordinato e colpevolizzato, la vittima riabilitata e indennizzata (Serra, 1999).

Quando una donna si reca ad un Centro Antiviolenza, infatti, ha quasi sempre una sola aspettativa: che venga svolto un intervento autorevole e punitivo sul partner, in modo tale da renderlo consapevole di aver sbagliato e da fare in modo che modifichi il proprio atteggiamento. La maggior parte delle donne, dunque, chiede aiuto al fine di controllare l’aggressore, non al fine di troncare il rapporto (Giles Sims, 1983). Va da sé che la risposta che queste donne ricevono dai Centri Antiviolenza (l’allontanamento dal partner) è percepita come non corrispondente alle loro aspettative.

E’ un paradosso, ma chi davvero risponde a questo bisogno della vittima è… l’aggressore stesso.

In che modo? Quando, dopo averla aggredita, si mostra calmo e rinsavito, a volte persino contrito (Walker, 1984). Questo accade ancor più se la vittima ha reagito attivamente alla violenza minacciando l’aggressore di andar via o separarsi.  Il rapporto è ribaltato: l’uomo dominatore è diventato dipendente, la donna vittima è gratificata, sollevata dal senso di umiliazione e colpa, quindi motivata a restare.

Spesso tale dinamica psicologica nella vittima è rinforzata dalla convinzione per cui il comportamento violento del partner non sia che l’esito di problemi psicologici: la vittima diventa altresì la salvatrice, la perdonatrice, ruoli che amplificano esponenzialmente il senso di gratificazione finale (Goldner e al., 1990).

La donna sente di essere in grado di “farlo cambiare”, ma sopra ogni altra cosa, si sente riabilitata dal senso di umiliazione e colpa.

Quali somiglianze con la dipendenza da sostanze?

  • In entrambi i casi vi è un’alternanza tra appagamento (dato in un caso dall’aggressore, nell’altro dalla sostanza) e profonda frustrazione (Giles Sims, 1983; Walker, 1984).
  • Il tossicodipendente periodicamente percepisce l’illusione di poter controllare la sostanza, così come la donna vittima, dopo aver subìto violenza, spera di poter cambiare (controllare) l’aggressore (Walker, 1984). Il tossicodipendente si espone al contatto con la sostanza per dimostrare a se stesso di riuscire da solo a controllarla, in modo similare la donna vittima torna dall’aggressore con la stessa illusione, esponendosi al rischio di ulteriori aggressioni.

Con gli occhi dell’aggressore…

Anche per l’aggressore vi è un rinforzo positivo, dato dal fatto stesso che la donna vittima abbia accettato di rientrare nella relazione: in questo modo egli avrà sempre più certezza che ella accetti la designazione di colpa e che la propria violenza sia una naturale conseguenza delle sue “provocazioni”.

Il comportamento della donna, che inizialmente critica e condanna la violenza dell’uomo ed in un secondo momento accetta di restare, viene vissuto dall’uomo sia come una riabilitazione, sia come una conferma del suo diritto a pretendere da ella comportamenti non provocatori, che naturalmente come una rassicurazione circa il proprio controllo su di lei.

Per una coppia in cui si agisce violenza, dunque, la violenza stessa -paradossalmente- diventa il collante della relazione (Serra, 1999).

Dott.ssa Giannalisa Colasuonno
Psicologa Psicoterapeuta e Psicodiagnosta
Corso Umberto I, 26 Grumo Appula (Ba)
tel. 366 30 55 032
email: info@studiocolasuonno.com
www.studiocolasuonno.com

Bibliografia

Giles Sims, J. Wife battering: A systems Theory Approch, Guilford Press, N.York, 1983;

Goldner, V. e al., Love and Violence: Gender paradoxes in volatile attachments., Fam.Proc., 29, pp.343-364;

Serra et al, La sopraffazione fisica nella coppia, in La crisi della coppia, Raffaello Cortina Editore, 1999;

Walker, L.E. The Battered Woman Syndrome. Springer, New York, 1984.

 

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